La Corte di Cassazione Sez. II Penale, in una Sentenza del 25 marzo 2014 è intervenuta con precisione sull’importantissimo concetto di usura in concreto (o soggettiva), delineando rigorosamente i principi di diritto che ne determinano la sussistenza.

Nella pronuncia si ricorda innanzitutto che l’usura, disciplinata dall’art. 644 del codice penale, può configurarsi sia come prestazione usuraria, avente ad oggetto somme di denaro o altre utilità (ex art. 644 I comma) sia come mediazione usuraria, nel caso in cui si procurino a terzi somme di denaro o altre utilità, dietro promessa o corresponsione di un compenso usurario per la mediazione (ex art. 644 II comma).

Il delitto di usura – sia nel primo che nel secondo caso – presume la condizione che il soggetto passivo, e cioè colui al quale viene prestato il denaro, venga indotto alla pattuizione di interessi.

Quando ci si riferisce all’usura, ci si riferisce generalmente alla situazione per la quale un soggetto presta ad un altro soggetto del denaro concordando un tasso di interesse che oltrepassa il limite consentito per legge, vale a dire i “tassi soglia” individuati trimestralmente dalla Banca d’Italia.

Questi ultimi fanno riferimento alla media dei tassi praticati sul mercato per ciascuna categoria di credito o prodotto. L’art. 2 della legge sull’usura (L.108/1996) fornisce indicazioni sul procedimento per la determinazione dei tassi soglia. Inoltre, nell’art. 644 c.p. IV comma, viene precisato che il tasso di interesse va calcolato includendo commissioni, remunerazioni e spese (escluse imposte e tasse) a qualsiasi titolo convenute.

Il concetto di usura però non si esaurisce qui; l’usura non è solo questo. La Cassazione afferma che un tasso di interesse, pur se pattuito entro il limiti dell’usura, in determinati casi può risultare comunque usurario.

Ciò accade quando il tasso di interesse, comprensivo di costi e commissioni, se pur al di sotto del tasso soglia di riferimento, risulta sproporzionato rispetto alla somma di denaro prestata– in confronto al tasso medio praticato per operazioni simili – se la vittima versa in condizioni di difficoltà economica o finanziaria (ex art. 644 c.p. III comma). Questo secondo caso determina la cd. usura in concreto, un’autonoma fattispecie pensata dal legislatore per tutelare un soggetto in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, anche quando non si ravvisi lo sforamento degli interessi rispetto al tasso soglia di usura.

Secondo la L.108/1996 e la corretta interpretazione della Corte di Cassazione, le imprese che hanno contratto finanziamenti, mutui o altre forme di credito possono contestare alle banche la presenza di usura anche se il tasso di interesse non oltrepassa le soglie (in alcuni periodi molto elevate) stabilite dalla Banca d’Italia.
Affinché si configuri usura in concreto, è necessario che sussistano i seguenti elementi, la cui verifica è demandata alla discrezionalità del giudice:

  • soggetto passivo in condizioni di difficoltà economica o finanziaria;
  • interessi pattuiti, se pur inferiori al tasso soglia, sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o altra utilità ovvero all’opera di mediazione.

Inoltre la Cassazione ha sottolineato come, rispetto al vecchio testo dell’art. 644 c.p. che individuava l’usura soggettiva nel caso di effettivo stato di bisogno della vittima, il nuovo testo dell’art. 644 c.p., emendato dall’attuale legge sull’usura n. 108/1996, ponga l’accento sui concetti di difficoltà economica e di difficoltà finanziaria. Per difficoltà economica si intende la momentanea carenza di liquidità, a fronte di una condizione patrimoniale globalmente non compromessa. Si tratta quindi di una situazione tipica nella quale può trovarsi l’impresa, la quale a seconda del momento di mercato in cui si trova può soffrire in alcuni periodi una situazione di carenza di liquidità, pur mantenendo comunque una posizione patrimoniale non compromessa.

La difficoltà finanziaria si verifica invece quando l’insieme delle attività patrimoniali del soggetto passivo è caratterizzato da una consolidata carenza di risorse e beni.

La difficoltà economica e la difficoltà finanziaria costituiscono elementi che integrano la materialità del reato di usura in concreto, e rappresentano una circostanza meno grave rispetto allo stato di bisogno perché, pur limitando sempre la libertà contrattuale del debitore, non rappresentano una condizione irreversibile, diversamente dallo stato di bisogno che, oggi, costituisce una circostanza aggravante.

Per dimostrare in giudizio la configurabilità dell’usura, non è quindi necessario che l’impresa arrivi alla situazione estrema ed irreversibile dello stato di bisogno. E’ invece sufficiente che l’impresa dimostri che gli interessi elevati applicati dalla banca controparte, anche se inferiori al tasso soglia di usura, sono stati pattuiti in una situazione di difficoltà economica o finanziaria nella quale si trovava l’impresa, per esempio anche conseguentemente ad una temporanea carenza di liquidità.

Ricordiamo ai privati e alle imprese che l’usura è un reato che può essere fatto valere, pur con diversi presupposti, sia in ambito civile che penale. Dimostrare oggi lo stato di difficoltà economica e finanziaria come sopra descritto è senza dubbio una prova più facile da produrre in giudizio rispetto all’accertamento del reale stato di bisogno.

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