Sempre più spesso i contratti derivati stipulati da Società o Enti rappresentano una vera e propria malattia, dalla quale difficilmente si riesce a guarire senza ferite permanenti.

Presentati dalle banche come ottimi strumenti a garanzia dal rischio di rialzo dei tassi, o anche come strumenti finanziari in grado di generare dei vantaggi economici per il cliente, in realtà si sono rivelati negli anni delle trappole spietate, dalle quali non ci si libera se non pagando pesanti penali, che in alcuni casi diventano insostenibili.

Il Tribunale di Roma, con Sentenza n.23717 del 25/11/2015, ha condannato una primaria banca nazionale a pagare al Comune di Tempio Pausania l’importo di Euro 280.619,24 oltre interessi legali e spese di lite, a titolo di ripetizione del flusso negativo generato dal derivato stipulato tra le parti e dei costi impliciti addebitati dalla banca e non dichiarati in contratto.

La vicenda

Nel caso di specie, le parti avevano inizialmente sottoscritto un derivato, che stava generando vantaggi economici per il Comune. Tuttavia, l’anno seguente la banca ha convinto il Comune a recedere anticipatamente dal derivato, fino a quel momento favorevole, per stipularne uno nuovo che avrebbe dovuto garantirgli persino maggiori vantaggi economici. Proponendo il nuovo strumento, la banca ha invece agito in conflitto di interessi e violato i doveri di buona fede oggettiva e di diligenza, vendendo uno strumento finanziario gravato da costi impliciti non dichiarati a danno del cliente e che, ben presto, ha generato flussi cedolari negativi per via delle mutate condizioni di mercato.

Il derivato, pur essendo un contratto aleatorio che può generare perdite in capo al cliente, deve tuttavia sottostare ad una serie di regole stabilite dal Testo Unico Finanziario e dai Regolamenti Consob.

Quando le perdite sono causate dal derivato “sbagliato”, ossia il derivato presentato dalla banca come “strumento di copertura” ma che in realtà si rivela fortemente inadeguato o addirittura speculativo, insorge una responsabilità contrattuale in capo alla stessa banca che può comportare un risarcimento in favore del cliente (o una ripetizione dell’intero ammontare delle perdite in caso di nullità).

Peraltro, in tema di derivati, il Tribunale di Lecco lo scorso 20 novembre 2015 ha rinviato a giudizio cinque funzionari di banca, accusati del reato di truffa ed usura.

La banca avrebbe infatti venduto a due società immobiliari lombarde dei derivati di copertura per assicurarsi dal rischio di rialzo del tasso di interesse su due mutui ma, diversamente dalle previsioni, i contratti hanno generato perdite per oltre Euro 800.000 a danno delle Società, tanto da portare il legale rappresentante delle stesse a presentare denuncia-querela nei confronti della banca.

L’assetto dei derivati venduti ai clienti si è rivelato tutt’altro che di copertura, in quanto prevedeva un particolare meccanismo “a catena” secondo il quale, alla risoluzione di uno strumento, seguiva l’immediata rinegoziazione in un nuovo strumento, anche in presenza di perdite consolidate dal Mark to Market negativo che di volta in volta veniva addebitato al cliente e poi compensato con l’up-front del derivato successivo, inscenando così una sorta di finanziamento usurario nascosto.

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