Cresce il numero dei tribunali che danno ragione ai correntisti che lamentano comportamenti anomali posti in essere dalle banche in corso di rapporto.

Il tribunale di Torino, con Sentenza n. 4789 del 2 luglio 2015, ha condannato la banca convenuta in giudizio alla restituzione di Euro 14.604,29 ed allo storno di un debito di Euro 60.022, oltre spese di lite, riconoscendo la non valida pattuizione delle condizioni economiche praticate in un rapporto di conto corrente. L’aspetto più rilevante della questione risulta senza dubbio il fatto che, nel 2012, la banca aveva passato a sofferenza la posizione del cliente, segnalando in Centrale dei Rischi il suo debito derivante da un saldo negativo di oltre Euro 60.000.

La vicenda

Per contro, il cliente ha citato in giudizio l’istituto di credito, portando all’attenzione del giudice il conto corrente in essere dal 1988, chiedendo di accertare la nullità e l’inefficacia delle condizioni generali di contratto relative alla determinazione degli interessi debitori (basati su “usi piazza” e su tassi ultra-legali non pattuiti per iscritto) delle commissioni di massimo scoperto e della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori.

Il Tribunale, esaminato il caso, ha affermato l’ammissibilità della domanda di ripetizione dell’indebito del correntista, essendo il conto corrente ancora attivo e, dunque, avendo il cliente diritto ed interesse ad agire.

Inoltre ha dichiarato infondata l’eccezione di prescrizione mossa dalla banca per tutte le rimesse ultra decennali: questo in quanto il giudice ha appurato dagli estratti conto depositati in giudizio, che il conto corrente è risultato sempre affidato. Nonostante la mancata produzione del contratto di apertura di credito, la presenza di affidamenti secondo il giudice è stata validamente dimostrata da elementi indiretti quali:

– presenza delle “condizioni economiche attualmente applicate” nei riepiloghi forniti dalla banca al cliente, dove risulta dichiarato un tasso, entro i limiti del fido concesso, effettivamente applicato nei trimestri analizzati;

– conteggio delle competenze da parte della banca nel quale risulta computato anche il tasso previsto per il caso di saldo debitore entro i limiti del fido;

– esame della visura storica della Centrale Rischi, prodotta in giudizio dall’attrice, dove risultano gli affidamenti effettivamente riconosciuti e comunicati dall’istituto di credito a Banca d’Italia.

Dunque, trattandosi di conto perennemente affidato, ed in assenza di prova da parte della banca della natura solutoria – e non ripristinatoria- delle rimesse annotate in conto corrente, secondo quanto sancito dalla Corte di Cassazione Sezioni Unite con Sentenza n. 24418/2010, la prescrizione deve decorrere dalla data di chiusura del conto corrente o della cessazione del fido e non dalla data delle singole scritture relative agli estratti conto.

Il CTU, incaricato dal giudice di effettuare il ricalcolo dei rapporti “dareavere tra cliente e banca, e dunque l’effettivo saldo del conto, ha scorporato dal conteggio gli interessi ultra-legali (mancando il contratto scritto di conto corrente gli interessi sono stati ricalcolati ai tassi legali previsti per legge), le commissioni di massimo scoperto (la cui applicazione è risultata illegittima perché non pattuita per iscritto e per la mancata indicazione dei criteri di applicazione della commissione stessa), oltre a quanto indebitamente corrisposto per effetto di una capitalizzazione trimestrale o annuale degli interessi non ammessa o non conforme a quanto stabilito dalle norme in vigore pro-tempore.

A seguito di tale ricalcolo, il Tribunale di Torino ha riconosciuto al correntista lo storno del debito di Euro 60.022, estinguendo dunque il saldo negativo del cliente, ed inoltre ha condannato la Banca alla restituzione di Euro 14.604,29. E’ dunque singolare il fatto che il cliente sia passato da una iniziale posizione debitoria ad una posizione creditoria, come in realtà spesso accade quando si ricalcolano – correttamente – le poste relative ai conti affidati.

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