CMC Ravenna3

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La storica Cooperativa Muratori & Cementisti, uno dei più grandi general contractor italiani, noto al grande pubblico come CMC Ravenna, è finita sotto i riflettori mediatici nell’autunno del 2018, a causa di una grave crisi finanziaria culminata il 4 dicembre 2018 con la richiesta di accesso alla procedura del concordato preventivo “con riserva” (ex art. 161 della Legge fallimentare). Sostanzialmente la proposta concordataria prevede la continuità aziendale e la soddisfazione integrale dei creditori in pre-deduzione, di quelli privilegiati e dei fornitori strategici, ma anche la soddisfazione parziale e non monetaria degli altri creditori chirografari, con l’attribuzione di strumenti finanziati partecipativi.  

Ed è proprio la posizione dei creditori chirografari obbligazionari, ovvero dei detentori dei bond, a preoccupare maggiormente, a causa della grande alea conferita dalla potenziale conversione di strumenti di debito in strumenti di rischio, con una percentuale di recupero stimata dagli analisti inferiore al 25% del valore nominale. La storica Cooperativa Muratori & Cementisti, uno dei più grandi general contractor italiani, noto al grande pubblico come CMC Ravenna, è finita sotto i riflettori mediatici nell’autunno del 2018, a causa di una grave crisi finanziaria culminata il 4 dicembre 2018 con la richiesta di accesso alla procedura del concordato preventivo “con riserva” (ex art. 161 della Legge fallimentare), in attesa della presentazione di un piano di sopravvivenza societaria in ottica di continuità aziendale. A gravare sui conti del gruppo erano i circa 2 miliardi di debiti accumulati e, soprattutto, la rilevante scarsità di liquidità necessaria per sostenere gli impegni del portafoglio ordini che al 30 giugno 2018 ammontavano a 3,72 miliardi di euro (di cui il 73% all’estero).

In linea generale la causa preponderante risiedeva nella difficoltà sistematica di incasso e nei ritardi nei pagamenti, cosi come è accaduto per gli altri grandi competitor Astaldi e Condotte ed in generale per il settore dell’edilizia italiana. Purtroppo, come al solito, a soffrirne le maggiori conseguenze sono stati gli investitori retail, ovvero quei risparmiatori italiani che hanno investito nei bond emessi da CMC Ravenna. Nello specifico parliamo del bond da 325 milioni di euro a scadenza 15 febbraio 2023 e cedola 6% (ISIN: XS1717576141) e del bond da 250 milioni a scadenza 1° agosto 2022 e cedola 6,875% (ISIN: XS1645764694).

Bisogna evidenziare che i succitati bond sono stati letteralmente “scaricati” dagli investitori istituzionali prevalentemente presso il pubblico dei risparmiatori italiani, che hanno assistito impotentemente e con sgomento ad un crollo del 90% del valore dei loro investimenti obbligazionari. Una significativa ed inequivocabile responsabilità grava inoltre su molti intermediari finanziari italiani che, nonostante fossero consapevoli della crescente tossicità dei bond, se ne sono liberati collocandoli presso un pubblico di investitori inesperti e non adatti alle caratteristiche di rischio dei succitati titoli. CMC Ravenna dal canto suo non si è certamente dimostrato trasparente ed esaustivo nelle comunicazioni al pubblico degli stakeholders nel corso dei mesi antecedenti alla richiesta di concordato. Ed è proprio la posizione dei creditori chirografari obbligazionari, ovvero dei detentori dei bond, a preoccupare maggiormente, a causa della grande alea conferita dalla potenziale conversione di strumenti di debito in strumenti di rischio, con una percentuale di recupero stimata dagli analisti inferiore al 25% del valore nominale.

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