Di recente un altro Istituto di credito è stato condannato a risarcire un’azienda correntista per l’importo di Euro 370.000, frutto dell’applicazione di interessi passivi che, avendo superato il tasso soglia di riferimento, hanno determinato l’usura.

Con Sentenza del 15/12/2014   il Tribunale di Teramo ha quindi condannato in primo grado la Banca convenuta al risarcimento di Euro 370.000, di cui Euro 307.990 per interessi ed oneri indebitamente pagati, oltre a spese legali ed interessi.

La vicenda

Nel caso specifico, l’impresa abruzzese aveva acceso il conto corrente nel 1985 ma nulla è risultato pattuito per iscritto circa le modalità di calcolo degli interessi passivi e le condizioni economiche riguardanti commissioni di massimo scoperto (CMS), valute e spese di gestione del conto: in contratto si faceva solo espresso rinvio alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza (i cd. “usi piazza”). Il conto corrente, poi chiuso nel 2007, è stato impugnato in giudizio dal cliente, che ha accusato la banca di aver applicato condizioni economiche illegittime.

Il Consulente Tecnico d’Ufficio nominato dal Tribunale ha accertato la presenza di irregolarità ed illeciti quali:

  • l’applicazione di un Tasso Effettivo Globale (T.E.G.) nettamente superiore al tasso soglia rilevato dalla Banca d’Italia, a decorrere dall’entrata in vigore della disciplina anti-usura di cui alla Legge 108/1996 fino alla data di estinzione del conto stesso (1997-2007);
  • nullità della clausola di rinvio agli “usi piazza” per la determinazione del saggio di interesse passivo;
  • interessi anatocistici, interessi ultralegali e commissioni di massimo scoperto mai pattuite tra le Parti e, dunque, illegittimamente applicate.

La sentenza

Il ricalcolo del saldo debitore effettuato dal CTU, per effetto dell’eliminazione di quanto non dovuto da parte del cliente, ha determinato un credito di quest’ultimo nei confronti della banca di Euro 307.990,24 che, unitamente alle spese legali ed interessi, ha visto restituita al correntista la somma di circa Euro 370.000,00.

La Sentenza ribadisce inoltre con forza un importante concetto relativo ai termini di prescrizione per la ripetizione degli indebiti, riprendendo quanto già pronunciato dalla Cassazione SS.UU. con Sentenza 24418/2010.

Il Giudice, avendo rilevato la natura ripristinatoria delle rimesse effettuate dalla società correntista negli anni (rientranti cioè all’interno di un affidamento accordato dalla banca al cliente), ha accolto come termine di prescrizione i 10 anni che, in virtù della natura dei versamenti, va calcolato a decorrere dalla data di estinzione del conto corrente in questione. Avendo pertanto l’azienda agito in giudizio solo tre anni dopo la chiusura del conto, la domanda di ripetizione delle somme per tutta la durata del rapporto medesimo, senza limitazione alcuna, ha trovato accoglimento.

Il provvedimento in oggetto conferma un filone giurisprudenziale importante, che dà ragione ai clienti che contestano condizioni svantaggiose applicate ai propri conti correnti. Alla luce della Sentenza in commento, si rafforzano ancor più gli interessanti scenari di contestazione in tema di Conti Correnti.

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